Afghanistan Sguardi e Analisi

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Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

mercoledì 16 novembre 2011

Af-Pak report: Jirga dei disaccordi e strategic partnership

di Claudio Bertolotti

Il futuro impegno occidentale in Afghanistan è stato discusso a Bruxelles in un incontro volto a definire un impegno, ormai è chiaro, a lungo termine; un colloquio tra i ministri degli esteri, quello concluso il 14 novembre, che prepara ad altri importanti appuntamenti, dalla conferenza di Bonn in calendario per il prossimo 5 dicembre, alla Loya Jirga di Kabul, alla discussa strategic partnership volta a definire una presenza militare permanente sul suolo afghano.

L’impegno militare statunitense post-2014 in Afghanistan dovrebbe essere limitato – stando alle recenti dichiarazione di John Allen, comandante in capo delle truppe sul terreno – ad “assetti” intelligence, forze per operazioni speciali e istruttori militari per le forze di sicurezza afghane. Una presenza che richiede però l’approvazione del governo afghano a cui è stato scelto di affiancare pro forma la tradizionale Loya Jirga, l’assemblea dei notabili afghani.
Ma proprio la Jirga ha attirato su di sé più di una voce critica, la più autorevole delle quali è quella di Abdullah (leader dell’opposizione parlamentare a Karzai), il quale ha sostenuto – formalmente a ragione – che si tratta di una realtà incostituzionale e in contrapposizione al parlamento afghano, l’unico soggetto legittimato a esprimersi sull’ipotesi di strategic parthnership con Washington.
Ma, se sul piano politico-diplomatico la Jirga ha ricevuto comunque una legittimazione de facto – non potendo vantare quella de jure –, ben altri problemi, per lo più legati alla sicurezza, inquietano gli animi: i taliban, riuscendo a impossessarsi dei piani di sicurezza segreti della Loya Jirga – tempestivamente messi online sul sito web dell’Emirato islamico dell’Afghanistan –, hanno dimostrato, ancora una volta, di poter penetrare le stesse istituzioni afghane. Una situazione critica che mette in evidenza quanto una possibile soluzione del conflitto sia ancora molto lontana.
Nell’attesa di sapere quante truppe verranno effettivamente ritirate entro il 2014, l’amministrazione statunitense prosegue sul binario della «strategic partnership» con Kabul. Ma se indefinito è il numero di soldati che lasceranno l’Afghanistan nel breve-medio termine, ancora più incerto è il numero di quelli che vi resteranno dopo il passaggio di responsabilità. Washington ufficialmente non ha confermato, ma i meccanismi diplomatici e gli equilibri politici spingono verso una comune meta: basi permanenti e presenza prolungata – per quanto ridimensionata nei ruoli e nei numeri. Una presenza militare “importante” in quella che è considerata – e a buon diritto è – una delle aree strategiche più importanti, il Grande Medio Oriente. Anche la Nato rimarrà in Afghanistan ben oltre il 2014, principalmente – ma non esclusivamente – con un ruolo di «addestratore-mentore» per le forze afghane. Ma se la presenza militare a lungo termine viene presentata all’opinione pubblica come prova del sostegno alla sicurezza, per i gruppi di opposizione armata tale opzione è semplicemente inaccettabile poiché il ritiro delle truppe straniere rappresenta il primo dei requisiti essenziali per un possibile “dialogo per il compromesso”.
Ne deriva che l’Afghanistan post-2014 non sarà meno violento di quello attuale e la presenza militare ne caratterizzerà ancora per molto tempo le dinamiche. Bagram, vecchia base aerea costruita dai sovietici, ospita oggi 30.000 soldati; solamente nel mese di giugno 2011 sono stati avviati lavori di ampliamento per ulteriori 1200 uomini; cinque milioni di dollari sono stati spesi per la creazione di una nuova area di accesso e altri progetti infrastrutturali sono previsti nel breve periodo. Tutto, proprio tutto, lascia intendere che non sarà un disimpegno di massa.
Almeno cinque sono le basi in grado di ospitare – nell’Afghanistan post-2014 – i rimanenti contingenti militari; queste strutture, al confine con Pakistan, Cina, Iran, Asia centrale e con il Golfo Persico a portata di mano, si trovano al centro di una delle più strategiche aree del mondo. Un’ipotesi di presenza a lungo termine che preoccupa più di un attore interessato all’Afghanistan, anche oltre lo spazio regionale.
Kabul si trova così impegnata in un delicato gioco delle parti dove, se da un lato grava l’eccessiva dipendenza dagli Stati Uniti, dall’altro, il ruolo rivestito da Washington rappresenta un’importante ed essenziale deterrenza all’intromissione di altri soggetti regionali. Ma la stabilità è un’altra cosa e la possibilità di ottenerla ancora molto remota. Tre sono le questioni aperte; la prima è relativa alla modalità con cui gli Stati Uniti decideranno di equipaggiare la forza armata aerea afghana, e i relativi rischi di “destabilizzazione regionale”. La seconda è rappresentata invece dalla possibilità che il territorio afghano possa essere utilizzato per condurre azioni militari contro Stati terzi dopo il 2014. Infine, la terza questione, si colloca sul piano legale: a quale titolo le truppe statunitensi potranno rimanere in Afghanistan? Al momento nulla è definito ma la posizione di Kabul – per quanto debole e non in grado di imporre una propria linea di condotta – ha negato la “totale libertà di manovra” di truppe straniere su suolo afghano.
Insomma, questioni aperte che potrebbero incoraggiare i gruppi di opposizione armata, taliban in testa, a inasprire il conflitto nella convinzione che l’Occidente sia intenzionato a rimanere in Afghanistan a tempo indeterminato.

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