Afghanistan Sguardi e Analisi

Afghanistan Sguardi e Analisi

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Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

lunedì 2 gennaio 2017

Gli jihadisti dall'AF-PAK alla Siria (CeMiSS OSS 5/2016)

di Claudio Bertolotti
@cbertolotti1



ISBN 978-88-99468-24-8



http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/DocumentiVis/Osservatorio_Strategico_2016/OS_05_2016_File_Singoli/OS_05_2016_WEB_IT.pdf
Situazione dello Stato islamico in Afghanistan
I gruppi di opposizione armata afgani affiliati allo Stato islamico (IS) nel corso degli ultimi 18 mesi hanno tentato di consolidare le proprie basi in cinque province del paese, ma hanno ottenuto risultati a loro favorevoli solamente in una di queste, Nangarhar, dove il gruppo dello ‘Stato islamico della provincia di Khorasan’ (Islamic State Khorasan Province - IS-Khorasan) – affiliato  allo ‘Stato Islamico di Iraq e Siria’ – si è imposto, trovando un terreno fertile per la propria propaganda e le attività operative, a causa delle conflittualità e delle divisioni dei gruppi insurrezionali, delle divergenze tra i ‘signori’ locali nonché del generalizzato consenso della popolazione verso interpretazioni jihadiste di orientamento salafita.
L’IS- Khorasan è però una realtà più teorica che sostanziale, composta principalmente  da talebani afghani  e pachistani del Teherik-e Taliban-e Pakistan (stimati al 70 percento), di esclusi o fuoriusciti dal movimento talebano (comunque un numero marginale), o elementi molto giovani che  si sono uniti all’Islamic Movement of Uzbekistan (IMU, inserito nell’elenco statunitense dei gruppi terroristi) poi passato al fianco dello Stato islamico. Nella sostanza si tratta di una presenza limitata alle aree periferiche nord-orientali dell’Afghanistan in prossimità del confine pachistano.
Il totale dei combattenti dello Stato islamico in Afghanistan è stimato tra le 1.000 e le 3.000 unità;  una stima approssimativa resa ancora più incerta  dalle continue attività di contrasto condotte, da un lato, dai talebani afgani e, dall’altro, dalle forze statunitensi: il numero si sarebbe così significativamente ridotto a partire da marzo 2016, attestandosi su un totale di circa 2.500 combattenti. I talebani e i gruppi di opposizione armata a essi affiliati sarebbero invece circa 35-50.000.
Da 18 mesi i due principali gruppi d’opposizione armata – talebani e militanti dello Stato islamico – si sono confrontati duramente per il controllo del territorio, sia sul piano militare sia attraverso la propaganda e la narrativa.
Comunque, sebbene lo Stato islamico abbia condotto operazioni di alto profilo ed elaborato una propria narrativa basata sul jihad ‘globale’ – scontro sunniti/sciiti e Islam contro non-Islam – ha nella sostanza fallito nel tentativo di coinvolgimento dei gruppi jihadisti locali, nonostante sia il processo di frammentazione del movimento talebano conseguente a un cambio di leadership non condiviso e sia le dinamiche interne successive alla scomparsa dello storico leader mullah Mohammad Omar nel 2013 (ma resa nota ufficialmente solo nel 2015) e la morte del suo discusso successore, il mullah Akhtar Mohammad Mansour.
Lo Stato islamico non è così forte come vorrebbe apparire e manca di quella capacità organizzativa e operativa che contraddistingue i talebani. Ma per quanto poco incisivo, il ruolo dello Stato islamico in Afghanistan sta complicando i piani di ritiro delle forze di sicurezza internazionali, come messo in evidenza dalla decisione statunitense di lasciare nel teatro afghano 8.400 unità e non 5.500 come in precedenza pianificato.
Al momento l’IS sta operando in aree considerate strategiche della provincia orientale di Nangarhar, in particolare lungo il principale asse viario che collega Peshawar (Pakistan) a Kabul, dove la presenza è valutata come significativa in almeno quatto o cinque distretti provinciali. La linea di comunicazione stradale Peshawar-Jalalabad-Kabul è un asse logistico critico utilizzato dalle forze statunitensi e della NATO per i propri convogli, oltre ad essere il più importante asse di comunicazione commerciale tra l’Afghanistan e il Pakistan.
Nel 2016 lo Stato islamico ha dimostrato le proprie capacità andando oltre le aree isolate della provincia di Nangarhar, spingendosi sino alle principali aree urbanizzate, in particolare quelle in prossimità della capitale provinciale Jalalabad.
Oggi, l’ambizione è proiettata verso l’espansione della propria presenza in tutta la provincia e nelle province del Nuristan e di Kunar, mentre gruppi affiliati già opererebbero nella provincia di Zabul, dove miliziani già appartenenti all’IMU hanno concentrato le proprie operazioni contro la minoranza sciita degli Hazara (il 10/20 percento della popolazione afghana).
Ma i successi concreti sono limitati e le forze statunitensi, al fianco delle forze di sicurezza afgane, hanno concentrato i propri sforzi contro le basi dello Stato islamico nella provincia di Nangarhar. Alla pressione statunitense si è aggiunta quella dei talebani, mentre da parte del governo afghano viene sostenuta l’iniziativa ‘Popular Uprising Program’ la cui ambizione è quella di sostenere e formare le milizie territoriali locali (arbakai) da impiegare come forze di auto-difesa contro i gruppi dell’IS.
Inoltre, lo Stato islamico ha perso da una parte l’opportunità di includere nel proprio progetto un ampio bacino di dissidenti talebani e altri gruppi di opposizione armata afgani e pachistani mentre, dall’altra, ha mancato la possibilità di adottare una flessibilità ideologica funzionale a un progetto inclusivo che potesse davvero coinvolgere le differenti realtà islamiche dell’Af-Pak.
Il risultato è un conflitto in evoluzione che coinvolge attori afgani e stranieri, sia in Afghanistan che al di fuori di esso, in particolare in Siria.
L’Iran ha aumentato l’impiego in Siria di combattenti sciiti afgani, pachistani e libanesi, all’interno della propria brigata ‘Fatemiyoun’; ciò significa che migliaia di cittadini afgani (e non solo loro) stanno combattendo per il governo siriano laico di Bashar al-Assad.
Anche lo Stato islamico in Af-Pak starebbe reclutando combattenti per il fronte operativo del Syraq (quell’area a geografia ‘variabile’ collocata al di qua e al di là di quelli che furono i confini statali di Siria e Iraq); in altre parole i volontari afgani sarebbero parte del fronte islamista anti-Assad e molti di questi sarebbero tra le fila dello Stato islamico.
A parte le dinamiche attuali, il problema va studiato nei suoi potenziali sviluppi futuri poiché i combattenti dell’uno e dell’altro fronte rientreranno in Afghanistan (o nei rispettivi paesi di origine) e potrebbero contribuire sia ad alimentare il conflitto intra-musulmano (fitna) tra sciiti e sunniti, e sia creando a livello locale, un ampio margine di simpatia per lo Stato islamico. Ma sebbene la guerra afgana non sia stata, sino a qualche anno fa, caratterizzata da una violenza settaria, la minoranza sciita hazara ha sempre subito forme sistematizzate di discriminazione e marginalizzazione. Dall’inizio della guerra – che ricordiamo è entrata nel suo quinto decennio – la comunità hazara ha visto, in particolare negli ultimi anni, aumentare la violenza nei propri confronti con la creazione di divisioni e conflittualità all’interno della stessa minoranza e tra questa e l’amministrazione centrale di Kabul.
Ciò che s’intravede è una lotta per il potere che cerca giustificazione (ed è alimentata) da settarismo e radicalismo islamico e dimostrazione di tale sviluppo sono le rivendicazioni da parte dello Stato islamico della paternità degli attacchi contro obiettivi sciiti (esplicitamente di natura settaria). Sinora, l’Afghanistan è rimasto ampiamente resiliente al crescente settarismo, al contrario dei conflitti mediorientali e del nord Africa, ma il progetto dello Stato islamico di ‘settarizzare’ la guerra afgana potrebbe trovare terreno fertile nell’azione iraniana di reclutamento e impiego degli hazara sciiti nella guerra in Siria.
Quello in corso è un processo politico e ideologico che mira a trasformare la ‘guerra nazionale afgana’, condotta dai talebani, in un jihad globale e denazionalizzato che, sotto l’ombrello dello Stato islamico, sta bruciando il Grande Medio Oriente e progressivamente mostrando le proprie violente intenzioni verso l’Europa attraverso il crescente coinvolgimento di immigrati musulmani ed europei convertiti all’Islam. L’Afghanistan è, nell’ottica dell’IS, una grande e strategica roccaforte sebbene i limiti geografici siano oggettivamente un limite al consolidamento di legami e rapporti con le comunità locali, al contrario di quanto avviene in Libia, Nigeria o Egitto.
 
Afgani in Siria con il regime di Bashar al-Assad
I principali gruppi di opposizione armata condividono la comune preoccupazione verso la campagna iraniana di reclutamento di soggetti afgani per la guerra in Siria.
Lo stesso governo di Kabul, a cui è nota la presenza di cittadini afgani in Siria, ha mostrato imbarazzo per il fatto che propri cittadini stiano combattendo una guerra per un governo straniero; imbarazzo accentuato dalla riduzione significativa di reclute per le forze di sicurezza afgane impegnate nella lotta contro i talebani e la crescente presenza di gruppi affiliati allo Stato islamico. Ufficialmente – ha dichiarato il portavoce del ministero degli Affari Esteri Shekib Mustaghni – «il governo afgano sta operando attraverso i canali diplomatici e la ‘High Commission for Refugees’ delle Nazioni Unite» per risolvere tale questione.
Le aree d’operazione che più recentemente hanno visto l’impiego di unità afgane sono state Palmira, Aleppo, Homs, dove è stato registrato il più alto numero di perdite afgane in Siria. Media iraniani e fonti ufficiali di Kabul hanno ammesso che centinaia di combattenti afgani sarebbero stati uccisi in Siria nel corso dell’ultimo anno.

I combattenti dell’Af-Pak con lo Stato islamico in Siria
Sul fronte opposto, quello anti-Assad, combattono soldati provenienti dall’Af-Pak e dall’Asia centrale.
Nel complesso, è stimato che un numero approssimativo di circa 30.000 combattenti sia giunto in Siria e Iraq dall’inizio della guerra siriana nel 2011 e abbia combattuto, o stia combattendo, per lo Stato islamico e altri gruppi di opposizione armata jihadisti. 14.000 di questi proverrebbero da paesi dell’Asia e sarebbero prevalentemente inquadrati nelle unità affiliate all’IS.
Sebbene i numeri non possano essere confermati, nel 2013 i talebani pachistani hanno dichiarato che centinaia dei propri combattenti erano impegnati in battaglia in Siria contro il regime di al-Assad, sotto la bandiera del ‘fronte islamico siriano’ legato ad al-Qa’ida; una parte di questi sarebbero tornati nel proprio paese di origine dopo un periodo di impiego in guerra.
Da una parte, i combattenti talebani pachistani avrebbero stabilito i propri campi di addestramento, un centro di comando e controllo e un ufficio in Siria; dall’altra parte i talebani afgani, attraverso il Consiglio supremo (Shura), hanno formalmente negato la loro partecipazione alla guerra sul fronte siriano al fianco dei gruppi ribelli. Dopo la frammentazione del Teherik-e Taliban-e Pakistan (TTP, i talebani pachistani) nel 2015, l’Islamic Movement of Uzbekistan, uno dei principali gruppi operativi nell’Af-Pak al fianco dei talebani e di al-Qa’ida, ha annunciato la sua fedeltà allo Stato islamico. Una decisione la cui conseguenza ha portato alla scissione del movimento, una parte in supporto e un’altra in contrapposizione all’IS, ai talebani e ad al-Qa’ida. Un cambio di equilibri conseguenza della frammentazione dello stesso movimento talebano afgano provocata dalla morte del suo carismatico e storico leader mullah Mohammad Omar.
Fu il leader dell’IMU, Usman Gazi, a dichiarare nel settembre 2014 fedeltà allo Stato islamico «nella lotta tra fedeli del vero Islam e non musulmani, in linea con i principi del movimento e con il sacro dovere».
La conseguenza di tale decisione fu un terremoto all’interno del già frammentato fronte insurrezionale che aprì a nuove correnti e posizioni sull’onda travolgente dell’IS.
La composizione dell’IMU, in linea con una policy aperta e inclusiva, è estremamente eterogenea e comprende soggetti uzbechi, tagichi, kirghisi, uiguri, ceceni e arabi. È inoltre interessante notare come, già nell’agosto 2014, alcuni reports confermassero la nomina di un tagico a ‘emiro di Raqqa’, la più grande provincia siriana sotto il controllo dello Stato islamico, da parte del capo dell’IS Abu Bakr al-Baghdadi. Ad oggi sarebbe confermata la presenza di combattenti dell’IMU in Siria e Iraq, la maggior parte dei quali tra le fila dello Stato islamico; nel corso del 2015-2016 è stata riportata la presenza in Siria e Iraq di soggetti uzbechi, afgani e provenienti da altre aree dell’Asia centrale.
Concludendo, una presenza significativa in Siria di combattenti afgani e pachistani al fianco dello Stato islamico non va interpretata come un diretto collegamento tra talebani afgani e Teherik-e Taliban-e Pakistani, sebbene non possano essere sottovalutate le conseguenze di medio-lungo periodo di una partecipazione rilevante di soggetti o gruppi di opposizione armata afgani o pachistani che, prima o poi, faranno rientro nei propri paesi con un elevato expertise ideologico e operativo.

http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/DocumentiVis/Osservatorio_Strategico_2016/OS_05_2016_File_Singoli/OS_05_2016_WEB_IT.pdf

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